Molte mamme mi chiedono se possono utilizzare il mio libro per insegnare a leggere a bambini con meno di 6 anni.
In questo caso, e solo se è desiderio del bambino, consiglio sempre un approccio "leggero" rispettando i tempi e seguendo solo la parte relativa alla lettura. Il bambino può giocare con le lettere scritte su cartoncini, può ascoltare, raccontare e colorare le storie, può leggere le parole e le frasi. Se vuole scrivere qualche parola o il suo nome, bisogna stare attenti alla corretta direzionalità.
Tutto questo va bene sempre e solo se avviene come un gioco e su esplicita richiesta.
Attenzione però: se il bambino impara a leggere non vuol dire che sia pronto a frequentare una classe prima.
Mi dichiaro apertamente contraria all'inserimento di bambini anticipatari per vari motivi.
Penso che mettendo sotto sforzo un bambino piccolo non necessariamente migliorerà
le sue prestazioni da grande.
Occorre, inoltre, considerare che questa scelta sarà per tutto il
periodo scolastico, dalla primaria all'università. Crescendo si
ritroverà sempre a confrontarsi con ragazzi più grandi: i suoi amici
avranno la patente e lui dovrà attendere; a 11 anni si pretende che i bambini sappiano astrarre il pensiero, lui ne avrà 10 e i professori non guarderanno l'età, idem per
quando studierà filosofia...insomma si rischia di farlo sentire più
piccolo e magari inadeguato. Il percorso scolastico ed emotivo di un
bambino può essere fortemente influenzato da questa scelta: è possibile
che in prima tale bambino si trovi benissimo, ma chi ci dice che il suo
sviluppo futuro continuerà con questo ritmo? E' necessario considerare
anche che vorrà frequentare uno sport con i suoi amici di classe,
riuscirà a vincere qualche gara? Sarà tra i più bravi o riuscirà, con
fatica, a correre dietro agli altri?
Diventerà un bambino con una buona autostima?
A
vostro figlio insegnate pure a leggere ma dategli l'opportunità di
vivere i suoi anni nella scuola d'infanzia con calma: le maestre sanno come premiare i bambini precoci, gli daranno stimoli adeguati, piccoli
incarichi, oppure dei libricini da leggere.
E lasciatelo pure annoiare,
osservando il mondo circostante svilupperà la fantasia e la creatività.
Nel tempo libero si potrà dedicare a qualche hobby: musica, sport, disegno... Ci sono tante cose da fare!
Cordiali saluti e... buona lettura!
Manuela Duca
Cosa dicono gli esperti (dal documento della CISL http://www.cislscuola.it/uploads/media/anticipo_01.pdf))
“Sa leggere, scrivere e….usa l’Ipad…quindi è pronto!”
In Inghilterra, dove l’obbligo inizia a cinque anni, il
Cambridge primary Review Group ha pubblicato nel 2009 il Rapporto finale sull’istruzione
primaria, Children, their World, their
Education: final report and recommendations of the Cambridge Primary Review.
Il Rapporto osserva che in Inghilterra gli alunni sono
costretti a lasciare prematuramente esperienze di apprendimento mediate dal gioco, sostituite
dall’approccio ad un curricolo formale e fondato sulle discipline. Sarebbe invece più
opportuno, si afferma, offrire giochi strutturati ed interazioni non formalizzate con adulti
significativi. Le evidenze di ricerca dimostrano che l’anticipo della scolarità primaria può
creare difficoltà soprattutto ai ragazzi in situazione di svantaggio sociale e a coloro che
hanno bisogni educativi speciali.
Non tutti gli alunni riescono a conseguire gli obiettivi che
sono loro proposti nel primo anno di scuola primaria e questo contribuisce a minare la
loro fiducia in se stessi.
La Sauder
School of Business at the University of British Coluumbia ha realizzato una ricerca (http://news.ubc.ca/2012/10/23/summer-babies-less-likely-to-be-ceos-ubc- research/) secondo la quale “i bambini più grandi, nella
stessa classe, tendono ad andare meglio dei più piccoli, che sono meno sviluppati a livello
intellettuale". I ricercatori si dicono dunque convinti del fatto che
mandare i figli a scuola troppo precocemente potrebbe compromettere il loro successo
personale, non solo nell'infanzia, ma per tutta la vita
Secondo Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello
sviluppo alla Sapienza di Roma, la questione non riguarda tanto le capacità cognitive
del bambino, il fatto per esempio che sappia già leggere e scrivere, quanto la
maturità emotiva e affettiva. “Bisogna considerare, infatti, tutti gli aspetti della personalità.
Un bimbo di cinque anni e mezzo può essere intelligentissimo ma non riuscire a star fermo e a
concentrarsi per i tempi richiesti attualmente dalla scuola elementare. Personalmente, non sono
per l’accelerazione a tutti i costi, perché sono convinta che i bambini imparino molto di
più se vengono rispettati i loro tempi, i loro ritmi, i loro reali bisogni. I tempi di
concentrazione, per esempio, aumentano via via che si cresce, quindi chi è più grande, anche solo
di sei-otto mesi, riesce a portare a termine un compito con minore fatica e ha un controllo
maggiore dell’emotività”. In sostanza, perché imporre al bambino qualcosa che non
corrisponde al suo stadio di sviluppo, mettendolo di fronte a richieste per le quali potrebbe
sentirsi inadeguato? La “smania di guadagnare tempo - aggiunge inoltre la psicologa
- può farci perdere di vista ciò che già raccomandava il filosofo e pedagogista Jean-Jacques
Rousseau, quando sottolineava l’importanza del perdere tempo. Perché il tempo
che il bambino ha a disposizione per giocare e muoversi liberamente è un tempo
utile e necessario per crescere e apprendere. Il bambino, infatti, ha bisogno di spazi di
libertà, sia fisica sia intellettuale, per sviluppare sicurezza di sé, scoprire, immaginare e
socializzare con i suoi pari”.
L’Importanza del gioco tra pari
Anna Maria Bondioli, docente di pedagogia generale e sociale
all’Università di Pavia, sottolinea noltre che le capacità di studio e di
apprendimento non dipendono solo dallo sviluppo cognitivo e intellettuale, ma anche dalle
competenze emotive e sociali. E a tal proposito, ricorda di non sottovalutare l’importanza del
gioco. “Il gioco - afferma - è un bisogno primario, ineludibile, fondamentale del bambino. È
lo spazio attraverso il quale, dai tre ai sei anni, i bambini costruiscono significati
condivisi è la loro cultura: la cultura dei pari. La scuola primaria non sempre è in continuità con
la scuola dell’infanzia, raramente è scuola del gioco. La preoccupazione per l’acculturazione è spesso maggiore rispetto a quella per la socializzazione e l’interazione tra
bambini. E questo può richiedere ai bambini un notevole sforzo di adattamento”. “Non basta
infatti che il bambino manifesti un forte desiderio di imparare per ritenere che l'anticipo
possa essere proficuo”. Bisogna valutare, per esempio, se è capace di relazionarsi con gli
altri in maniera cooperativa, sia
con gli adulti sia con i coetanei, o se è in grado di
portare a termine un compito, senza cedere sotto il peso di minime frustrazioni in caso di
difficoltà.
Ma i più acerrimi nemici dell’anticipo sono gli steineriani.
La regola delle loro scuole è di iniziare tra i sei e i sette anni, quando
maestri e medico riscontrano alcune caratteristiche nel bambino, dalla crescita degli arti alla
caduta dei denti da latte. “Solo a quel punto si può affrontare un cammino al di fuori della
famiglia”. E del resto, dice Andrea Scicchitani della scuola milanese steineriana: “in
Finlandia, primo Paese nella classifica Ocse, si comincia il percorso didattico a sette
anni”.
La pedagogia Steiner-Waldorf riconosce tre fondamentali fasi
di sviluppo, o settenni, nelle quali l'educatore ricopre, pur in maniera differenziata, un
ruolo fondamentale: dalla nascita a 7 anni, il periodo prescolastico; da 7 a 14 anni,
quello del ciclo di base (classi I-VIII); da 14 a 21 anni, quello principalmente della scuola
superiore. Ognuna di queste fasi presenta significative e specifiche caratteristiche nella maturazione
fisica, psicologica e spirituale dell'essere umano.
A circa sette anni, alcune delle forze che erano attive alla
formazione degli organi, diventano gradualmente superflue per le loro funzioni
organiche. Sono perciò disponibili per aiutare la comparsa di una vita interiore individuale e
particolarmente per supportare il processo di formazione di immagini mentali, di
costituzione della memoria e di creazione delle forze autonome di fantasia, fattori tutti essenziali
all'apprendimento.
Nel I settennio il bambino impara principalmente attraverso
l'imitazione ed il gioco; assorbe e fa proprie le esperienze fatte in modo inconscio,
non essendo ancora in grado di discriminare e di difendersi: sensazioni, stimoli di varia
natura, parole, penetrano nella sua interiorità, plasmandolo fin nel suo intimo. Ciò che educa e
forma il bambino, lasciando una profonda traccia nel suo linguaggio, nei suoi
sentimenti, nel suo modo di pensare e di agire, sono il gesto esteriore e l'atteggiamento interiore
delle persone che lo circondano.
Fondamentale è anche un ambiente sicuro, amorevole e
strutturato, in cui le attività possano realizzarsi in un contesto pieno di significato, in
cui si possano stabilire buone abitudini di comportamento, quali la memoria, la devozione,
l'ordine, l'ascolto e il godere del mondo naturale. A quest'età il gioco è un'attività seria
e vitale; attraverso di esso si coltivano doti di creatività, immaginazione ed iniziativa. Particolare
importanza viene inoltre data a tutte quelle attività ed esperienze che permettono ai bambini di
sviluppare le proprie facoltà sensoriali, favorendo così una sana percezione di sé e del
mondo circostante, qualità fondamentali per ogni futuro apprendimento.
Anche gli ultimi dati OCSE-PISA 2012 individuano nel ciclo
pre-primario d’istruzione un’importanza fondamentale per il percorso scolastico
successivo.
Nel 2012, in Italia il 4% degli studenti ha dichiarato di
non aver frequentato il ciclo di istruzione pre-primario, rispetto ad una media OCSE del 7%.
Nell’insieme dei Paesi dell’OCSE le iscrizioni nel ciclo d’istruzione pre-primario
sono aumentare tra il 2003 e il 2012, mentre in Italia il numero delle iscrizioni è rimasto
stabile. In Italia, come in molti altri Paesi gli studenti in difficoltà sono sovra
rappresentati tra gli studenti che hanno dichiarato di non aver frequentato la scuola dell’infanzia
per più di un anno.
Tra il 2003 e il 2012 in Italia come in Finlandia, Grecia,
Islanda, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Spagna e Tailandia, la differenza
nei risultati ottenuti in matematica tra studenti quindicenni che avevano frequentato
la scuola dell’infanzia e studenti che non l’avevano frequentata, era cresciuta
di oltre 25 punti.